La memoria raccontata ai bambini

pubblicato in: Eventi editoria

Sono stata una giornata intera, lo scorso 20 gennaio, in due scuole milanesi a raccontare dell’importanza dei libri a bambini di terza e di quarta elementare, per celebrare la Giornata della memoria. Sono bambini nati poco meno di 10 anni fa. Quando ho detto loro che ero del ’62 mi hanno fatto notare che dovrei metterci il “novecento”, prima… Sono bambini piccoli eppure immersi in un rumore di negatività: ascoltano i telegiornali, ascoltano soprattutto gli adulti. Bambini. Ascoltatori. Adulti di domani.

Nel nostro catalogo non ci sono libri specifici legati alla memoria se non quella preziosa raccolta di documenti, che abbiamo accolto – già pubblicata – diversi anni fa: Dalle leggi razziali alla Shoà, di Nando Tagliacozzo. Da questo libro, dopo aver chiesto a bambine e bambini quanto tempo ci mettessero la mattina a prepararsi per andare a scuola, ho letto il foglietto che le SS davano agli abitanti delle case in cui entravano per portarli sui treni e poi nei campi di concentramento. I documenti a volte possono aprire al ragionamento quanto la narrazione. Possono essere potenti.

Ho raccontato loro il mestiere che faccio, e del rogo del 1933 a Berlino, dei libri. Perché bruciare i libri? Per non consentirci più di chiedere “perché”.

E allora, pur se lontano dalla Storia che riguarda la Giornata della Memoria che celebriamo ogni anno il 27 gennaio, ho letto loro la prima parte della storia di Klaus Vogel. Che arriva nell’Inghilterra dalla Germania Est, non si sa come – forse nel bagagliaio di una macchina. Che ha perso entrambi i genitori: in prigione? uccisi? Suo papà (forse) era un famoso cantante lirico. E Klaus sa cantare. Ma soprattutto sa giocare a pallone, cosa che lo renderà interessante sia per il narratore della storia, il suo primo amico inglese, che per Joe e la sua squadra di ragazzacci. Teppistelli, che vivono nell’ombra del capo, che gli obbediscono e lo seguono in orrende avventure come quella di dare fuoco alla siepe del giardino del signor Eustace.

Semplicemente, quando a Klaus viene richiesta la “prova” per entrare nel gruppo, lui chiede “Perché lo facciamo?”. E se ne va. La potenza di quel “perché” cambierà la piccola storia di quel piccolo paese inglese e dei suoi ragazzi.

È per questo che Jella Lepman, rientrata nella Germania con l’esercito americano con l’incarico di “rieducare donne e bambini” (dopo che – ebrea tedesca – dalla Germania nazista era scappata nel 1938) stabilì che solo i libri potevano salvare quel paese, libri per bambine e bambini, che nutrissero le loro menti, le esercitassero a interrogarsi e a immaginare, perchè aiutassero gli adulti a “rimettere per il verso giusto questo mondo sottosopra”.

E dopo aver letto Klaus e i ragazzacci, di David Almond, sono passata ad Un ottimo lavoro. Perchè è sano ridere della stupidità della guerra. E il modello da seguire è quello del prodigioso Firmin, non certo l’ottusità del Barone Von Bombus.

Perché anche così possiamo celebrare la Giornata della memoria: mostrando ai bambini la preziosa arte dell’ironia, che capovolge e sovverte e smaschera l’insensatezza e l’ingiustizia. Anche molti che ne facevano uso durante il nazi-fascismo sono stati perseguitati e uccisi per questo.

Allora facciamoli leggere, parliamo con loro, raccontiamo le storie delle memorie familiari, facciamo capire loro l’importanza di non dimenticare, e che ci siano sempre più Klaus a chiedere perché e a ribellarsi contro le ingiustizie e gli orrori. E a cambiare la storia.